OSSERVATORIO GIURIDICO-LEGISLATIVO
della Conferenza Episcopale Italiana

Discriminazioni sul lavoro per motivi religiosi: recenti interventi giurisprudenziali

Con sentenza del 20 maggio scorso la Corte d’appello di Milano ha affermato che ha carattere discriminatorio di comportamento consistente nell’esclusione dalla selezione per l’individuazione di una hostess , richiesta per una fiera di calzature, di una delle aspiranti a causa della sua decisione di non togliere, per motivi religiosi, lo hijab. La Corte ha […]
18 Luglio 2016

Con sentenza del 20 maggio scorso la Corte d’appello di Milano ha affermato che ha carattere discriminatorio di comportamento consistente nell’esclusione dalla selezione per l’individuazione di una hostess , richiesta per una fiera di calzature, di una delle aspiranti a causa della sua decisione di non togliere, per motivi religiosi, lo hijab. La Corte ha quindi escluso che l’assenza del velo fosse un requisito essenziale e determinante della prestazione; di qui la natura discriminatoria dell’esclusione.
In materia, deve essere tuttavia segnalato che, in base alle conclusioni rese dall’avvocato generale Juliane Kokott nella causa n. C-157/15 del 31 maggio 2016 (per una sintesi dell’intervento si rinvia a questo OGL n. 5, pag. 17), l’art. 4 della Direttiva 2000/78/CE del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, consente di tener conto del codice di abbigliamento fissato dall’impresa. In particolare, l’avvocato ha suggerito alla Corte di Giustizia che un tale divieto potrebbe venire giustificato dall'intento del datore di lavoro di attuare una politica di neutralità religiosa ed ideologica perseguita nell'azienda “sempreché in tale contesto il principio di proporzionalità venga rispettato”. Tale divieto, inoltre, non deve poggiare “su stereotipi o pregiudizi nei confronti di una o più religioni determinate oppure nei confronti di convinzioni religiose in generale. In un tale caso, infatti, non vi sarebbe un trattamento meno favorevole sulla base della religione”.
 
Con ordinanza del 21 giugno scorso il Tribunale di Rovereto ha stabilito che tiene una condotta discriminatoria, individuale e collettiva, il gestore di una scuola religiosa che non rinnovi l’incarico d’insegnamento per la sospetta omosessualità dell’insegnante.
Nel caso di specie, il contratto di docenza a tempo determinato era scaduto il 30 giugno 2014 e non era stato rinnovato dalla scuola paritaria di ispirazione religiosa cattolica, come era invece accaduto negli anni precedenti. Assumevano i ricorrenti che ciò era accaduto a causa della tendenza omosessuale della docente, che aveva una relazione di convivenza affettiva con un’altra donna.
Il giudice ha ritenuto la natura discriminatoria della condotta dell’Istituto religioso, condannando lo stesso al pagamento, in favore della docente, della somma di euro 10.000 per danni patrimoniali costituiti dalla perdita di chance di assunzione a tempo determinato per i successivi anni scolastici, nonché al pagamento della somma di euro 15.000 per danni non patrimoniali, “tenuto conto della ampia risonanza mediatica della vicenda, dell’ostinata reiterazione delle affermazioni offensive e dell’assenza di qualsivoglia forma di resipiscenza”; nonché al pagamento in favore delle associazioni sindacali ricorrenti “dal momento che la condotta posta in essere dall’istituto attraverso la sua legale rappresentante (…) ha colpito non solo la ricorrente, ma anche ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione presso l’istituto”.